Agregamos un episodio más a la lista de atropellos cometida por quienes detentan el poder en la Iglesia.
La asombrosa nota de advertencia (amenaza?) del obispo de Albano Laziale hacia quienes frecuentan y reciben los sacramentos en el priorato de la FSSPX da a entender que el único blanco sobre el cual disparar en esta mal llamada "iglesia de la misericordia" es la Tradición!
Por un lado, la mano tendida a la FSSPX como durante el reciente encuentro del card. Mueller con mons. Fellay; por otro, la puñalada en la espalda de este obispo que, quizá, vea amenazada su diócesis de escasez de fieles porque éstos se dan cuenta de que algo no está bien en la Iglesia y, en cambio, desean recibir la doctrina católica de fuentes seguras acudiendo al priorato? Vaya uno a saber!
Miserere
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martedì 28 ottobre 2014
COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI E SCOMUNICA AI CATTOLICI TRADIZIONALI
E’ di pochi giorni
fa la Notificazione ai Parroci sulla “Fraternità S. Pio X” del Vescovo
di Albano Mons. Marcello Semeraro che in fondo pagina potrete leggere.
Mi sembra invece
assolutamente fuori luogo, parlare di rottura della comunione con la
Chiesa cattolica, come ritiene Mons. Semeraro, citando una vecchissima
Nota pastorale di un suo Predecessore, il Vescovo Dante Bernini, per
quanto questi sia stato un degnissimo vescovo.
Arrivare poi
addirittura a diffidare i fedeli dal richiedere e ricevere i Sacramenti
nella Fraternità S. Pio X, ammonendoli che altrimenti si metterebbero
fuori della comunione con la Chiesa cattolica, lascia stupefatti e si
potrebbe ipotizzare per il Vescovo uno sconfinamento dall’ambito di
esercizio della sua potestà.
La Fraternità S.
Pio X non è stata mai scomunicata e mai sono state dichiarate invalide
né le ordinazioni sacerdotali, né quelle episcopali, né le celebrazioni
eucaristiche, né l’amministrazione dei Sacramenti. Sono stati
scomunicati soltanto Mons. M. Lefebvre, per le illecite consacrazioni
episcopali, e i vescovi da lui consacrati. Tali scomuniche sono state
poi revocate da Benedetto XVI.
Ora se scomunicare
significa estromettere dalla comunione, per conseguenza logica revocare
la scomunica significa riammettere nella comunione.
Se a ciò poi si
aggiunge che la S. Sede riconosce come veri vescovi quelli consacrati
(illegittimamente, ma validamente) da Mons. Lefebvre, si capisce fin
troppo chiaramente come sia del tutto contraddittorio e inammissibile
considerare, come sancisce Mons. Semeraro, che siano fuori della
comunione della Chiesa cattolica coloro che vanno a Messa o ricevono i
sacramenti nella Fraternità S. Pio X.
Essere fuori della
comunione significa essere scomunicati; ma se scomunicata non è
laFraternità S. Pio X, non lo sono nemmeno i fedeli che la frequentano.
Si tratta soltanto di illegittimità e di irregolarità. In altre parole è
solo questione di disciplina.
Ma quanta
indisciplina c’è stata e c’è ancora nella Chiesa, nonostante i severi
richiami dall’Alto, da parte di tanti preti, che manomettono la Liturgia
a loro piacimento, fino ad atti che rasentano la profanazione, senza
mai che i Vescovi intervengano?
D’altra parte
considerare come un delitto degno di scomunica il rimanere nella
dottrina, nella liturgia e nella tradizione della Chiesa così come
questa era ed è stata per secoli, significherebbe ripudiare la Chiesa
come è sempre stata, e questo sì che sarebbe un fatto gravissimo gravido
di pericoli di scisma.
Lo dice
chiaramente anche Benedetto XVI nella lettera ai vescovi che potrete
leggere in fondo con la quale accompagna il suo Motu proprio Summorum
Pontificum: «Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per
noi resta sacro e grande, e non può improvvisamente essere proibito o,
addirittura, giudicato dannoso».
Mons. Semeraro nel
proibire, e con ciò giudicando dannosa la frequentazione sacramentale
nella Fraternità S. Pio X, al punto da considerare scomunicati coloro
che in essa ricevono i sacramenti e assistono alla S. Messa celebrata
secondo il venerando e secolare rito tridentino, mette in non cale, se
non addirittura contesta le succitate parole di Benedetto XVI, per
quanto ciò possa essere al di là delle sue intenzioni.
Io ho sempre avuto
un debole per la Liturgia così come veniva celebrata prima della
riforma scaturita dal Conc. Vat. II, perciò ho esultato di gioia per la
decisione di Benedetto XVI di concedere ad ogni sacerdote la facoltà di
celebrare la Santa Messa con il messale di S. Pio V, tant’è che ogni
volta che posso, ben volentieri e con gran profitto spirituale, mi
avvalgo della celebrazione con tale messale. Per cui, se io avessi
desiderio di partecipare a qualche Vespro solenne (o anche a una solenne
Messa) celebrato in latino e canto gregoriano nell’antica ritualità, e
quindi io mi recassi nella chiesa della Fraternità S. Pio X secondo
Mons. Semeraro io sarei fuori della comunione con la Chiesa cattolica?!
Assurdo!
Significherebbe che con una santissima celebrazione io mi metterei fuori della comunione dei Santi!
Rottura della
comunione con la Chiesa cattolica per aver partecipato a una Santa
Messa! Rottura della comunione con la Chiesa cattolica per aver
partecipato a un Vespro solenne! Rottura della comunione con la Chiesa
cattolica per aver pregato insieme a dei fratelli, che sono solo in
situazione canonicamente irregolare!
Ma la preghiera
non è il primo passo da fare in campo ecumenico? Abbracci e baci con i
non cattolici, ma diffida per quelli che vogliono pregare insieme a dei
fratelli cattolici, che sono soltanto (se si vuole) non canonicamente
inquadrati
Tutto il rispetto e
l’obbedienza al Vescovo, e anche la comprensione per le sue
sollecitudini pastorali, ma non mi sembra che rientri nell’ambito della
sua potestà il proibire di pregare insieme ad altri fratelli cattolici
(anzi cattolicissimi), tanto più in considerazione del fatto che il
pregare insieme è il primo passo da fare in campo ecumenico.
Se il Papa,
abbracciando e baciando Ebrei (che rifiutano il Cristo), mussulmani (che
non credono alla divinità di Cristo e si propongono di eliminare gli
“infedeli” e condannare a morte chi si converte al cristianesimo),
ortodossi (che non riconoscono il primato giurisdizionale del Papa) e
protestanti (che non credono alla verginità di Maria e rifiutano alcuni
sacramenti), ci vuole invitare a rapporti fraterni con costoro,
esortando anche a pregare insieme, senza dimenticare che lui si è
persino inchinato per ricevere la benedizione dal Primate anglicano, la
cui ordinazione sacerdotale ed episcopale è invalida, e quindi è un
laico, come si potrebbero per coerenza ripudiare dei cattolici, che sono
soltanto non canonicamente inquadrati, per la loro ferma volontà di
rimanere legati alla Chiesa come è stata per secoli fino al Concilio
Vat. II?
Di che cosa vengono accusati gli aderenti alla Fraternità S. Pio X, per doverli tenere a distanza e nemmeno pregare con loro?
Di essere rimasti fermi alla Chiesa preconciliare?
O grave delitto nel quale i cattolici hanno perseverato per secoli!
Abbracci e baci agli eretici, ma alla larga da costoro!
Con buona pace della conciliare Unitatis redintegratio!
C’è bisogno di aggiungere altro?
Diocesi suburbicaria di Albano
NOTIFICAZIONE AI PARROCI SULLA “FRATERNITA’ SAN PIO X”
Nelle ultime
settimane sono pervenute alla Curia Diocesana richieste di chiarimento
circa la celebrazione dei Sacramenti presso la «Fraternità San Pio X» di
Albano Laziale.
Al riguardo si
ritiene doveroso precisare che la suddetta “Fraternità” non è una
istituzione (né parrocchia, né associazione) della Chiesa Cattolica.
Ciò vale anche
successivamente al decreto della Congregazione dei Vescovi del 21
gennaio 2009 con cui il Santo Padre Benedetto XVI, andando benignamente
incontro a reiterate richieste da parte del Superiore Generale della
Fraternità San Pio X, revocava la scomunica nella quale fin dal 30
giugno 1988 erano incorsi quattro Presuli della stessa Fraternità.
Ciò è stato
sottolineato da Benedetto XVI con la sua Lettera ai Vescovi della Chiesa
Cattolica del 10 marzo 2009: «la Fraternità non ha alcuno stato
canonico nella Chiesa e i suoi ministri – anche se sono stati liberati
dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun
ministero nella Chiesa» (in AAS CI [2009], n. 4, p. 272). Lo stesso
Benedetto XVI, nella successiva Lettera m.p. Ecclesiae Unitatem del 2
luglio 2009 ha ribadito: «la remissione della scomunica è stata un
provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica per liberare le
persone dal peso di coscienza rappresentato dalla censura ecclesiastica
più grave. Ma le questioni dottrinali, ovviamente rimangono e, finché
non saranno chiarite, la Fraternità non ha uno statuto canonico nella
Chiesa e i suoi ministri non possono esercitare in modo legittimo alcun
ministero» (in AAS CI [2009], p.710-711).
A seguito di
quanto sopra, è doveroso ribadire quanto già formulato nella Nota
Pastorale sulla Fraternità San Pio X del Vescovo Dante Bernini, dove si
legge:
I fedeli cattolici
non possono partecipare alla Messa, né richiedere o/e ricevere
sacramenti dalla o nella Fraternità. Agire diversamente significherebbe
rompere la comunione con la Chiesa cattolica.
Pertanto qualunque
fedele cattolico che richiede e riceve Sacramenti nella Fraternità San
Pio X si porrà di fatto nella condizione di non essere in comunione con
la Chiesa Cattolica. Una riammissione nella Chiesa Cattolica dovrà
essere preceduta da un adeguato percorso personale di riconciliazione,
secondo la disciplina ecclesiastica stabilita dal Vescovo.
Spiace
sinceramente che talune opzioni, specialmente se riferite
all’Iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi, siano in contrasto
con gli orientamenti pastorali della Chiesa italiana e con le scelte
conseguenti della Diocesi di Albano, dove sono privilegiati percorsi
formativi per la crescita e la maturazione della vita di fede.
Ai Parroci il compito di dare adeguata informazione ai fedeli.
Dalla Curia di Albano, 14 ottobre 2014, Prot. 235/14.
Marcello Semeraro, vescovo
Lettera del Santo Padre
Benedetto XVI
ai vescovi di tutto il mondo
per presentare
il Motu Proprio “ Summorum Pontificum cura”
sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970
Cari Fratelli nell’Episcopato,
con grande fiducia
e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova
Lettera Apostolica "Motu Proprio data" sull’uso della liturgia romana
anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di
lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera.
Notizie e giudizi
fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione.
Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione
gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in
realtà non era conosciuto.
A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera.
In primo luogo,
c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano
II e che una delle sue decisioni essenziali ? la riforma liturgica ?
venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna
innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito
in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la
forma normale ? la forma ordinaria ? della Liturgia Eucaristica.
L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata
pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata
durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma
extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare
di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si
tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito.
Quanto all’uso del
Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa,
vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai
giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò
sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è
sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del
Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato
di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul
posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano
fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia,
era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi
in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua
formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma
anteriore della Celebrazione liturgica. Tutti sappiamo che, nel
movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale
antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura,
che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone,
che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio
Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano
tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia;
questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo
fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva
inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività,
la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del
sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel
periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto
profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della
Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.
Papa Giovanni
Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio
"Ecclesia Dei" del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del
Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma
faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso
le "giuste aspirazioni" di quei fedeli che richiedevano quest’uso del
Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare soprattutto
la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di
Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente.
Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una
serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di
questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso
del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano
precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi
casi, temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito
dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta
dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana
che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che
anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono
attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per
loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è
sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo
del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono
anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da
rispondere alle diverse situazioni.
In secondo luogo,
nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che
una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato
a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali.
Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale
antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso
alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di
frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il
nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano,
non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale
situazione in cui si trovano le comunità di fedeli.
È vero che non
mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente
vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione
liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e
guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito
Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e
dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La
Commissione "Ecclesia Dei" in contatto con i diversi enti dedicati all’
"usus antiquior" studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione
della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in
maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che
attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di
Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato
consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle
prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità
teologica di questo Messale.
Sono giunto, così,
a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante
questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una
riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato,
alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di
Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui
la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte
dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la
riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella
Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste
divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci
impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che
hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare
in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase
della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: "La nostra bocca vi
ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto
per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori
invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche
voi il vostro cuore!" (2 Cor 6,11?13). Paolo lo dice certo in un altro
contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in
questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare
tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio.
Non c’è nessuna
contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella
storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò
che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e
grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o,
addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le
ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e
di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione
anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in
linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi.
Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della
santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso.
In conclusione,
cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non
diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né
sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo,
infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr.
Sacrosanctum Concilium, n. 22: "Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae
auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad
normam iuris, apud Episcopum").
Nulla si toglie
quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello
di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse
nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario
locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto
stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio.
Inoltre, vi
invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle
vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu
Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà,
potranno essere cercate vie per trovare rimedio.
Cari Fratelli, con
animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste
pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole
dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: "Vegliate su voi
stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha
posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata
con il suo sangue" (Atti 20,28).
Affido alla
potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e
di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli,
ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri
collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli.
Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007
Benedetto XVI
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